“Il fantasma nucleare – ha dichiarato Lucia Venturi, responsabile scientifico di Legambiente – si è riaffacciato con violenza sul mondo, tornando a uccidere, contaminare, devastare. E, a confermare purtroppo le denunce delle tante “cassandre” che non hanno mai smesso di evidenziare l’elevatissima pericolosità dell’energia atomica, l’incidente ha interessato un impianto giapponese: un Paese tecnologicamente avanzato e non una delle tante centrali obsolete, spesso veri e propri reperti archeologici, dell’est europeo”.
“L’Italia, tra i grandi Paesi industrializzati, ha dimostrato una grande preveggenza uscendo, grazie al referendum popolare dell’87, con largo anticipo dal nucleare – ha sottolineato Gianni Mattioli, esponente del direttivo Legambiente e protagonista della battaglia contro il nucleare, ora sottosegretario ai Lavori Pubblici – Ma evidentemente, e l’incidente nucleare in Giappone purtroppo lo dimostra, serve ora più che mai una politica internazionale per l’uscita definitiva dal nucleare, sia civile che militare”.
Se incidenti del genere possono accadere in un paese tecnologicamente attrezzato come il Giappone, c’è da chiedersi quanto ancora potranno resistere quelle vecchie carrette ad uranio dei paesi dell’est, dell’ex Urss o dell’ex Jugoslavia dove vecchie centrali, scarsamente attrezzate sul fronte sicurezza e spesso abbandonate da anni senza manutenzione o controlli, proseguono in un’attività scarsamente produttiva e ad evidente rischio ambientale. Tracce del disastro di Chernobyl, dove uno dei reattori è tuttora in funzione, oltre ad essere tristemente visibili sulla popolazione, sono ad oggi (a 13 anni da allora) ancora rintracciabili in quantità significative sulle nevi dei ghiacciai dell’arco alpino. L’Italia 12 anni fa disse “no” al nucleare. A 12 anni da quella scelta vecchie e pericolose centrali nucleari sono ancora attive a due passi da casa nostra: in Francia, in Svizzera, nei territorio della ex Jugoslavia. Ma un’altra emergenza è rimasta in questi anni entro i nostri confini: quella di oltre 23.000 m3 di materiale irradiato, eredità della nostra attività nel settore nucleare (impianti nucleari di ricerca, centrali elettronucleari, attività mediche e industriali), stoccato in parte in 21 depositi progettati inizialmente per essere utilizzati solo come soluzione temporanea. Di questa mole di rifiuti, circa 21.000 m3 appartengono alla prima ed alla seconda categoria, i restanti duemila alla terza, per un’attività complessiva di quasi 10 milioni di miliardi di Bq. Si segnalano, tra le molte situazioni critiche, quelle di Saluggia (Piemonte) e di Trisaia (Basilicata). Il centro piemontese è oggi la più grande sede di depositi ed impianti per scorie radioattive d’Italia. Una situazione che richiama immediatamente all’urgenza di una messa in sicurezza degli impianti dismessi, e ad una individuazione efficace dei siti finali di smaltimento.
“L’Italia ha pronunciato un “no” storico al nucleare – ha commentato Lucia Venturi – ma a distanza di 12 anni da allora la volontà dei cittadini non è ancora stata rispettata veramente. Il nostro territorio è cosparso purtroppo di siti di raccolta e di stoccaggio di veleni pericolosi, che costituiscono un potenziale di inquinamento che non è più possibile sottovalutare. Bisogna stabilire delle responsabilità amministrative ed operative per questa situazione, e chiedere con forza che la decisione dei cittadini italiani di vivere nel loro paese lontani da fonti di potenziale inquinamento radioattivo venga rispettata sino in fondo. Incidenti come quello giapponese ci dicono inoltre che bisogna investire di più sulla ricerca di fonti energetiche alternative e sostenibili: e qui il nostro paese si trova ad oggi in un ritardo gravissimo”.
Categorie:News
Rispondi