Dopo tre anni dal Decreto Ronchi, il Ministero dell’Ambiente si è limitato a organizzare una giornata dal titolo “L’Italia che ricicla”. In realtà devono riflettere più gli uomini di governo in quanto da parte loro i cittadini hanno dimostrato ampiamente la loro disponibilità a collaborare, anche se sull’effettivo riciclaggio di quanto raccolto permangono ancora molte ombre e scarsa chiarezza. La Regione e gli Enti Locali dell’Emilia Romagna hanno investito forti somme per la propaganda della raccolta differenziata (producendo fra l’altro nuovi rifiuti) e 50 miliardi per la costruzione di nuove isole ecologiche e impianti di selezione che aumentano i costi per gli utenti, ma il punto debole resta il continuo aumento della quantità di rifiuti prodotti.
Negli ultimi 5 anni la produzione dei rifiuti pro-capite nelle 9 città capoluogo è aumentata di circa il 20%. Le situazioni peggiori: il 17% di aumento a Bologna, il 25% a Ferrara, il 21% a Forlì, il 29% a Reggio Emilia, il 18% a Rimini. Altro punto critico è la mancanza di azioni concrete che incentivino il riciclaggio dei materiali raccolti. Aumentano i conferimenti di materie seconde negli impianti di smaltimento; le discariche abusive e gli incendi sospetti di stoccaggi di rifiuti (da quelli urbani ai tossico-nocivi).
L’Emilia-Romagna ha complessivamente una buona dotazione di impianti di smaltimento, ma le proteste per la localizzazione di nuovi impianti, che le aziende stanno proponendo ovunque anche per prepararsi alla liberalizzazione del mercato, non troveranno sbocchi se non si svilupperà un’azione diretta ad ottenere la riduzione dei rifiuti prodotti e incentivazioni economiche per l’uso delle materie seconde.
La riduzione dei rifiuti era il primo obiettivo enunciato dal Decreto Ronchi: ma è stato completamente disatteso. Legambiente ritiene necessario perciò sviluppare un’azione perché il Governo, la Regione e gli Enti Locali si pongano con forza questo problema e passino dalla propaganda alle iniziative concrete per affrontarlo.
Per ottenere una riduzione della quantità di rifiuti prodotti bisogna puntare innanzitutto sulla riduzione degli imballaggi, a partire da una globale assunzione di responsabilità da parte del sistema industriale che deve impegnarsi per promuovere il riuso e favorire il riciclo dei materiali da imballaggio e dall’adozione di meccanismi fiscali e tariffari, come la cauzione, che incentivino il riutilizzo degli imballaggi. Proponiamo per questo 3 buone azioni:
- far costare di più l’imballaggio “a perdere” rispetto a quello a rendere se si vuole ottenere lo sviluppo della pratica del riuso e del recupero, evitando gli sprechi di nuovi impianti di post-selezione.
- vietare la produzione di quello che non è riciclabile o ha alti costi di riciclaggio.
- incentivare le iniziative che alcuni produttori intelligenti stanno proponendo. Vanno incoraggiati concretamente e dal lato economico i sistemi di recapito a domicilio delle bevande in vetro, l’adozione delle ricariche per i detersivi e i dentifrici, la vendita di vino sfuso, le vendite assistite di frutta, verdura, latticini, pesce, carni, e altri generi alimentari.
Legambiente rilancia l’esperienza dei sacchetti di plastica fatta dieci anni fa con gruppo di sindaci che vietò l’uso degli “shoppers” ed ottenne alcuni risultati importanti. È uno strumento che deve essere riutilizzato ancora ad iniziare nei confronti dei produttori e distributori di contenitori per bevande (plastica, lattine ecc..) per costringere il Governo a introdurre l’obbligo del vuoto a rendere e/o caricare sui vuoti a perdere i costi di smaltimento e di investimento per gli impianti, che altrimenti vengono pagati dai cittadini.
In assenza di misure di questo tipo, osteggiate dai produttori e dalla grande distribuzione, è necessario che i Sindaci passino al divieto, tramite ordinanza, di vendita delle bevande in contenitori a perdere. Riteniamo che se non si fa questo, si incentivi lo spreco e che a poco servano le iniziative di propaganda e la buona volontà della grande maggioranza dei cittadini.
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