Presentato il rapporto Ecomafia 2000, quinto rapporto di Legambiente sulle illegalità ambientali

L’oro nella cassaforte delle ecomafie cresce. Mafia, camorra e ‘ndrangheta hanno fatturato infatti con l’ambiente nel 1999 più di 26.000 miliardi, 4.000 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Rifiuti, abusivismo, cemento illegale, appalti, racket degli animali e quest’anno anche l’aggressione criminale al patrimonio artistico interessano sempre di più le eco-cosche che sono diventate 138 rispetto alle 110 del 1998.

Raddoppiano nel 1999 anche le persone arrestate, 17.447, e gli eco-reati accertati sono stati 26.508. Ma in questa fotografia in nero c’è un dato positivo, l’intervento delle ruspe demolitrici ha rallentato l’abusivismo edilizio: nel secondo semestre del 1999 è diminuito del 13% rispetto al primo semestre (2.300 case illegali in meno con un risparmio al paese di una nuova casa abusiva su 4). Questo emerge dal rapporto di Legambiente “Ecomafia 2000”.

“La continua crescita delle ecomafie – ha dichiarato Ermete Realacci, Presidente Nazionale di Legambiente non è casuale: nel codice penale non c’è traccia dei crimini contro l’ambiente. Ora diciamo però tolleranza zero. Gli eco-crimini devono entrare nel pacchetto sicurezza. Va adeguato il codice penale alla realtà del paese”.

Regioni a rischio sono sempre Campania, Calabria, Puglia, Sicilia dove si concentra il 42,1% di illeciti. La Campania è sempre la prima in classifica per infrazioni penali ambientali, 18,3%, ed anche per case abusive con 6.155 edifici fuorilegge. Ma l’illegalità sale lungo lo stivale e preoccupa il Lazio che è la seconda regione italiana per gli illeciti individuati dalle forze dell’ordine (3.024). Tra le regioni in cui l’eco-criminalità è in crescita ci sono anche la Sardegna, l’Emilia Romagna, il Veneto e il Trentino Alto Adige.

Ma in Italia c’è anche l’archeomafia, la criminalità che si rivolge ai beni culturali nazionali, quadri, oggetti antichi, monete, tesori provenienti da scavi, necropoli e musei. Questa aggressione criminale a reperti archeologici ed artistici, i gioielli di famiglia del paese, frutta 300 miliardi l’anno. Le cifre dei traffici in oggetti d’arte sono molti consistenti. Secondo il Comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio artistico negli ultimi 30 anni ci sono stati 36.889 furti d’arte (100 al mese, 3,36 al giorno), 544.960 oggetti asportati, 10.348 persone indagate (600 nel 1999), 3.421 arrestate (53 nel ‘99). Ma sono state anche recuperate 174.673 opere d’arte e oltre 350.000 reperti archeologici.

Secondo un’inchiesta della rivista inglese “Trace” dopo la droga il traffico d’arte è l’affare che rende di più alla malavita. Un traffico, che se riguarda i reperti archeologici provenienti da scavi illegali, è diventato un vero e proprio business internazionale gestito dalla criminalità. Scompare in questo settore quindi il fai da te e si impongono le cosche mafiose che hanno individuato nel settore dei beni culturali un nuovo e promettente campo d’azione. Le regioni più a rischio archeomafia sono la Puglia, la Sicilia e il Lazio.



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