Il naufragio della petroliera nel 1999 devastò 400 chilometri di costa della Bretagna
È arrivata finalmente in giudizio la vicenda del naufragio della motonave Erika, la carretta del mare che aveva già cambiato nome 7 volte e che 8 anni fa infangò le spiagge della Bretagna. La notizia battuta dalle agenzie di stampa è molto importante anche per Legambiente Emilia Romagna che all’epoca realizzò un presidio a Ravenna davanti alla sede italiana della società armatrice per sottolineare le responsabilità degli armatori e successivamente inviò squadre di volontari da Ravenna e da Parma per la pulizia delle coste soffocate dal petrolio.
La notizia desta interesse anche perché fra i condannati dal tribunale francese con le motivazioni riportate dalla sentenza vi è anche il RINA (Registro Navale Italiano). In Italia il RINA oltre a curare la certificazione di enti pubblici e aziende private anche nella nostra regione è fra l’altro partner della FEE ITALIA (la Fondazione con sede centrale in Danimarca che concede le “Bandiere Blu” a spiagge e porti turistici). Come è ovvio tutti i condannati fra cui il RINA e la TOTAL si sono dichiarati innocenti e hanno annunciato ricorsi.
Riportano le agenzie di stampa che tutti e quattro sono stati ritenuti colpevoli del naufragio della petroliera Erika e di quella marea nera che nel dicembre 1999 devastò 400 chilometri di coste francesi e uccise 150.000 uccelli: la Total, che aveva noleggiato la nave, per “imprudenza”; il Registro navale italiano (Rina) per aver rinnovato il certificato “malgrado il segno manifesto dello stato preoccupante delle strutture”; l’armatore Giuseppe Savarese e il gestore Antonio Pollara, tutti e due italiani, perché “per ragioni di costi, hanno deciso una diminuzione dei lavori” di riparazione della nave nel 1998. I quattro sono stati condannati dal tribunale di Parigi a versare in solido 192 milioni di euro di danni e interessi. In più, la Total e il Registro navale italiano dovranno pagare – ognuno – la multa massima prevista, di 375.000 euro, e Savarese e Pollara 75.000 euro ciascuno. Esultano le 101 parti civili – associazioni ambientaliste, regioni ed enti locali – che incasseranno 192 milioni di euro (avevano chiesto indennizzi per un miliardo di euro) in base alla sentenza che ha chiuso un processo durato quattro mesi, uno dei più lunghi, complessi e costosi procedimenti avviati dalla giustizia francese.
Ma la soddisfazione degli ecologisti e delle collettività territoriali arriva soprattutto dal riconoscimento da parte dei giudici parigini – è la prima volta in Francia – dell’esistenza di un danno ecologico, frutto della “minaccia portata all’ambiente”. Ciò che dà diritto, anche per il futuro, al risarcimento alle associazioni che si battono per la difesa dell’ambiente. Si dice “molto soddisfatta” anche l’ex candidata socialista all’Eliseo, Segolene Royal, presidente del Poitou-Charentes, una delle regioni toccate da quel disastro ecologico: “è un avvertimento per quelle navi-carrette che solcano i nostri mari”. La sua regione, parte civile, riceverà un milione di euro, la Lega per la protezione degli uccelli 800.000 euro, la gran parte andrà allo Stato: 154 milioni di euro.
In Italia anche Legambiente parla di sentenza che crea un “precedente importante”, perché riconosce la responsabilità di chi noleggia le navi. Gli unici ad essere stati risparmiati dal tribunale di Parigi sono stati il comandante della nave, l’indiano Karun Mathur, e i quattro soccorritori. Il Registro navale italiano, che ha sede a Genova, ha annunciato che farà ricorso: abbiamo “dimostrato inequivocabilmente nel corso del dibattimento di non essere responsabili”. Anche il legale della Total ha consigliato il gruppo petrolifero francese di fare ricorso contro la sentenza, definita “non giusta“. Erika, una petroliera vecchia di 25 anni, era affondata in una tempesta ad una settantina di chilometri al largo delle coste bretoni del Finistere il 12 dicembre del 1999. Lo scafo si era spaccato liberando circa 20.000 tonnellate di nafta che la nave doveva portare verso l’Italia. Per settimane 400 chilometri di costa erano stati invasi dalle fanghiglie melmose del petrolio che avevano distrutto coste, ucciso decine di migliaia di uccelli, con un disastro ambientale drammatico e un pesantissimo danno economico e finanziario. Turismo, commercio, pesca hanno risentito per anni di questo disastro ecologico.
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